17/09/12

Co-Housing

Addio assemblee condominiali al fulmicotone. Il sogno di rapporti di buon vicinato e di mutuo soccorso diventa realtà grazie al co-housing. Cos'è e come funziona: ne parliamo con un progettista e con una persona che sta vivendo questa esperienza

C'è la giovane coppia moderna, dalle aperte vedute e dalla sensibilità ecologista, che vuole inaugurare per la propria famiglia uno stile di vita all'avanguardia ma antico al tempo stesso. C'è il single di ritorno, con un'esperienza matrimoniale fallita alle spalle e magari uno o più figli. E ci sono sessantenni ancora pieni di energie, più "senior" che anziani, desiderosi di sapersi ancora utili per gli altri e di rendere più belli gli anni della pensione. Persone diverse per età ed esperienze, tutte accomunate da un unico progetto di vita, che trova realizzazione concreta in una nuova formula abitativa, quella del co-housing. Spazi comuni, dall'orto alla lavanderia, servizi di muta assistenza, dal car sharing alla "portineria intelligente" che si occupa anche delle bollette e della spesa, micronido, hobby room , piscina e giardino: nel co-housing, privacy e relazioni sociali trovano un equilibrio armonico, il cui precipitato è un'invidiabile qualità della vita.


«Io e la mia compagna cercavamo casa - ci racconta Paolo Stagnoli, 39 anni - quando navigando in rete abbiamo scoperto la realtà del cohousing, che ci è subito piaciuta. Dalla prima riunione di gruppo all'acquisto sono passati pochi mesi». Entusiasmo ed equilibrio razionale: Paolo ci parla con passione della sua esperienza senza edulcorare nulla. «Giovane, moderno, divertente: eppure il loft non era esattamente il tipo di casa - continua - che io e la mia compagna consideravamo adatta a essere suddivisa in vista di figli piccoli. Anche il prezzo non era allineato con quelli di mercato e la Bovisa, poi, dove sorge l'Urban Village in cui ora abitiamo, è una zona di Milano in crescita, sì, ma per ora sulla carta: eppure il progetto era così entusiasmante che abbiamo aderito nonostante il margine di rischio che comporta l'acquisto di una quota parte di spazi comuni, un impegno economico che non si può considerare un investimento».

Remore superate di slancio, a tutt'oggi senza ripensamenti di sorta: «Fino a che non ci vivevo dovevo crederci, adesso che ci vivo lo so: la risposta che il cohousing sta dando è all'altezza delle aspettative che avevamo. Questa è proprio la dimensione di vita, sociale e di coabitazione che desideravamo - continua Paolo -. Ècome in un piccolo paese, dov'è normale darsi una mano. Se qualcuno di noi va a fare acquisti all'Ikea , dà una voce agli altri inviando un messaggio al newsgroup: "Domani vado lì, qualcuno ha bisogno di qualcosa?"». Sono una trentina gli appartamenti all'Urban Village della Bovisa, divisi al 50% tra nuclei familiari e single. L'età media viaggia intorno ai 30-40 anni. «Ovviamente ci sono sfumature di partecipazione nel gruppo - sottolinea Paolo -: un 30% di partecipanti entusiasti cerca continuamente sinergie con gli altri e porta avanti progetti comuni, il 50% dei partecipanti passivi gode dei frutti della collaborazione ma offre aiuto solo se espressamente richiesto di farlo, la restante percentuale non sta sfruttando il cohousing e lo vive come un normale condominio. È fondamentale sapere che ci sono fatiche aggiuntive da affrontare, ampiamente ripagate. E che non si può delegare ad altri la responsabilità delle scelte».

In un clima assembleare permanente, molto anni Settanta, le decisioni non si prendono a maggioranza: «Si discute anche per ore, com'è accaduto per decidere se installare o no l'antenna della tv. Ma poi si arriva al dunque senza ricorrere a votazioni anche grazie a chi, nel gruppo, è più abile nel disinnescare i conflitti e le contrapposizioni muro contro muro». Dovendo condividere lavanderia, officina, sala comune e soprattutto momenti di confronto è facile diventare amici dei propri cohousers «ma l'amicizia - precisa Paolo - è indipendente dalla relazione cooperativa e collaborativa». Ci si può ritrovare a guardare tutti insieme una partita, a festeggiare per un'intera giornata un compleanno, a darsi una mano per tinteggiare casa o per dare un'occhiata ai bambini dei vicini mentre mamma e papà escono a cena per ricaricarsi un po', «raro privilegio - commenta Paolo - per coppie con figli piccoli, in una città come Milano». Non c'è un asilo, alla Bovisa, «ma del resto non ci sono ancora abbastanza bambini in età prescolare per metterlo in piedi - aggiunge Paolo -. In compenso i piccoli sono liberi di giocare in uno spazio aperto ma al tempo stesso protetto, sempre sotto gli occhi di un adulto».

Progetti residenziali di questo tipo sono destinati a diffondersi. C'è infatti una forte domanda di socialità, come ci conferma Massimo Giordano, presidente di E'/co-housing, associazione che opera nel bolognese. «Quando la nostra agenzia è partita, l'alta partecipazione al progetto e le aspettative di cui siamo stati investiti ci hanno quasi spaventati». Problematiche concrete e lungaggini burocratiche hanno poi smorzato i primi ingenui entusiasmi e fatto desistere i meno motivati: «Parecchi immaginavano che nel giro di sei mesi avrebbero avuto la loro casa in co-housing - spiega Giordano -. Non è così semplice, purtroppo: i Comuni si dimostrano interessati, ma - trattandosi di progetti innovativi - poi prendono tutto con le molle». «Superati i primi ostacoli, resiste un nocciolo duro: ora rappresentiamo circa 250 famiglie», conclude il presidente di E'/co-housing. Tempo, pazienza e apertura all'altro: il cohousing richiede questo fin dalle prime battute: «Si tratta di un percorso partecipato, una scelta di vita - continua Giordano -: le persone devono conoscersi, mettere insieme le idee e discuterne. In un Paese che registra il più alto tasso europeo di conflitti condominiali è già tanto vedere che la gente torna a guardarsi negli occhi, a parlare di scelte di vita profonde. Diciamo che è una forma di democrazia partecipata che riparte dal basso».

Le soluzioni di design vanno incontro alle esigenze di «35enni-40enni che ricordano con nostalgia il vecchio cortile e di famiglie monogenitoriali - madri e padri single - che dispongono di un reddito discreto, ma proprio per questo non accedono a istituti di assistenza comunali, per cui vivono forti disagi per tempi di vita sacrificati tra il lavoro e la cura dei figli - spiega Giordano -. Ci chiedono inoltre sale attrezzate per il telelavoro: interessa molto uno spazio che non è casa ma non è nemmeno ufficio, per cogliere appieno un'opportunità bellissima senza rischiare di lavorare in un ambiente dispersivo». Una scelta abitativa non ancora alla portata di tutti: «Riceviamo adesioni da liberi professionisti, insegnanti, docenti universitari - conferma Giordano -. Ma nel progetto di riqualificazione di San Lazzaro,a cinque chilometri da Bologna, abbiamo previsto 3-4 appartamenti destinati a nuclei familiari con reddito basso o a persone portatrici di handicap lievi e autosufficienti. E abbiamo allo studio - conclude Massimo Giordano - anche soluzioni di condomini solidali: la comunità in cohousing può infatti farsi carico della gestione di servizi sociali di assistenza (a bambini o anziani, per esempio) che interessano il territorio. Come contropartita, chiediamo ai Comuni agevolazioni fiscali delle quali il sistema in co-housing possa beneficiare».
Lorenza Provenzano (che ringrazio, nel caso le capitasse di vedere che le ho rubato l'articolo)
Sono l'addetto alla macchina del tempo